![]() VIAGGIO NEL DNA DELLE ORGANIZZAZIONI I meccanismi della complessità(r)
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Se c’è concesso di dare una semplice definizione d’organismo complesso di tipo adattivo possiamo affermare che questo è un sistema olistico-ecologico che interagisce con l’ambiente mutando continuamente per ottenere un equilibrio sia interno che esterno finalizzato alla sua sopravvivenza e soddisfazione. Tale comportamento è riscontrabile per tutti gli organismi viventi ed anche per i sistemi misti organici ed inorganici. Basta che sia presente un sottosistema complesso in un sistema per poter assimilare questo, a sua volta, ad un sistema complesso. E’ importante non
confondere fra sistema complesso e sistema complicato. Un sistema complesso è in grado di rispondere in modo non sempre prevedibile ad una sollecitazione esterna. Un sistema complicato fornisce sempre un risultato prevedibile. Ambedue sono caratterizzati da una nidificazione di sottosistemi che sono legati fra loro da relazioni tali da rendere difficoltosa la sua interpretazione, descrizione e rappresentazione. Un’automobile è un sistema complicato. La stessa automobile con a bordo il guidatore è un sistema complesso. Sul comportamento del primo, a fronte di una sollecitazione in input si può prevedere tutto, su quello del secondo invece, poiché non è prevedibile stabilire a priori la reazione del guidatore, a fronte di un determinato evento (per esempio emergenza o traffico), è impossibile capire il funzionamento in output ma è possibile prevederlo con una certa dose d’approssimazione.
Una cellula, un organo del nostro corpo, un essere vivente, un’Impresa, un mercato, un contesto sociale, il nostro pianeta, l’universo costituiscono altrettanti esempi di organismi complessi (fig 3). Tutti gli organismi complessi si evolvono nel contesto ove sono inseriti attraverso quattro meccanismi semplici: la radiazione, l’emergenza, l’autorganizzazione e la previsione. La radiazione è la capacità di un organismo complesso di riprodursi sfruttando sistematicamente l’errore, o meglio piccole mutazioni, per poi sperimentare le stesse all’interno dell’ambiente che le ospita. Sarà questo meccanismo a selezionare ed a far evolvere le specie e fra queste quelle che rispondono meglio, nel loro complesso, al sistema ecologico. La teoria della complessità, nonostante sia vicina a quella evoluzionistica per taluni aspetti si discosta da questa nel momento in cui ipotizza che ogni sistema complesso in natura diventa quello che è, in quanto esistono degli attrattori che spingono il sistema verso tale configurazione. Come in natura qualsiasi sistema tende ad una configurazione minima in termini di energia così un sistema si evolve verso una configurazione, tutto sommato, preindirizzata attraverso gli attrattori. Sembra che questo sia il meccanismo presente alla base, per esempio, della specializzazione delle cellule e quindi della costruzione degli organismi biologici attraverso la realizzazione di componenti che a loro volta sono organismi complessi. Lo stesso meccanismo potrebbe essere all’origine dell’universo da noi conosciuto. Il big bang potrebbe essere un processo d’evoluzione per adattare l’universo ad un ambiente composto, a sua volta da universi.
In figura 4 gli attrattori sono identificati come i punti di minimo di una curva ideale mentre i sistemi complessi sono rappresentati da delle palline. Nel momento stesso in cui fosse presente un campo di forze verticale discendente i punti di minimo diverrebbero naturalmente degli attrattori. Questo modo di rappresentare le cose è molto semplice rispetto a come potrebbe essere la realtà ma risulta efficace ed intuitivo. Le palline appena sollecitate effettuano il percorso che li porterà verso un equilibrio più stabile. Se poniamo l’ipotesi che la curva presa ad esempio può essere libera di oscillare avremo che le palline, ad ogni sollecitazione, se questa dovesse compromettere l’equilibrio esistente, tenderanno ad effettuare altri percorsi per giungere a posizioni più stabili o se vogliamo a situazioni di minimo dell’energia. Naturalmente uno dei fattori fondamentali per l’osservazione del fenomeno è il periodo che intercorre fra uno stato raggiunto dal sistema ed il successivo. Ogni organismo ha un suo ciclo di vita ed un bioritmo che pulsa in sintonia con l’ambiente e quindi con l’Organismo che lo ospita e con gli altri Organismi con cui interagisce (fig. 5).
Naturalmente essendo il sistema di osservazione, a sua volta, un Organismo complesso di tipo adattivo che ha un suo bioritmo, questo può osservare i fenomeni che si svolgono nell’ambito del proprio ciclo di vita ma non può comprendere fenomeni che avvengono con ritmi propri di organismi che hanno cicli di vita più lunghi a meno di una storia registrata da Organismi dello stesso tipo che può essere tramandata da una generazione alle altre; anche in questo caso non tutte le tipologie di Organismo complesso potranno essere comprese fino in fondo nelle loro logiche fig. 6.
Una cellula non comprenderà mai in quale Organismo ospite si trova e come questo funziona, come un uomo non capirà non solo il funzionamento dell’universo ma anche cosa realmente sia e perché esista. L’universo ha un bioritmo che non è percepibile da noi se non attraverso il periodico movimento dei corpi celesti, eppure le più moderne teorie dicono che si sta espandendo. Al contrario, i mercati hanno un bioritmo molto rapido influenzabile da qualsiasi repentino mutamento sociale o economico. E’ quello che può semplicemente essere definito un problema di visibilità e di localizzazione nello spazio e nel tempo dei punti d’osservazione. Possiamo quindi affermare che l’evoluzione può essere definita come un passaggio da uno stato precedente determinatosi ad un tempo t0, a causa di un certo attrattore, ad uno successivo più ecologico rispetto al precedente determinato ad un tempo t1 da un altro attrattore. Stessa cosa può essere ipotizzata che avvenga per le Organizzazioni che si evolvono, raggiungono il punto di equilibrio che successivamente perdono perché il contesto in cui operano muta e quindi si autorganizzano per raggiungerne un altro. Addirittura può capitare che Queste, nascano con una missione, nell’ambito della stessa raggiungano n stati evolutivi, e successivamente scompaiano dal mercato, per cause fisiologiche naturali o traumatiche, oppure mutino missione trasformandosi in un altro tipo d’Impresa. L’autorganizzazione (fig. 7) è anche questo un meccanismo naturale attraverso cui si evolve un Organismo complesso che al crescere della complessità da gestire aggiunge livelli gerarchici in modo da poter controllare più agevolmente le relazioni che intercorrono fra i propri componenti. In Pratica si creano strutture proporzionalmente complesse in funzione dei livelli di complessità raggiunti dai processi che devono essere gestiti.
Per controllare un sistema complesso non è importante conoscere i dettagli d’ogni sottosistema componente ma le relazioni che legano ognuno di questi agli altri. Aristotele affermava che il tutto è più della somma delle parti. Per la teoria della complessità il tutto è più della somma delle singole parti ma è meno della parte. Proviamo a spiegare i due concetti in chiave organizzativa. Un’Impresa si compone anche di risorse umane e strumentali, questa è in grado, nel suo complesso di produrre beni e servizi che la singola risorsa umana potrebbe non essere in grado di produrre da sola, ma non è in grado di fare le stesse cose che può fare una singola risorsa umana in quanto il suo livello di complessità non è neanche paragonabile a quello dell’Organismo uomo. L’Organizzazione, infatti, utilizza solo alcune capacità della risorsa umana cioè la specializza per i suoi fini e quindi non usa appieno la sua energia potenziale. I meccanismi di
base delle Organizzazioni sono identici a quelli degli Organismi complessi.
L’inserimento di piccole modificazioni a livello organizzativo, il cui risultato finale non è determinabile a priori, avviene continuamente a più livelli (radiazione). Introducendo o sostituendo in un gruppo di lavoro una o più risorse umane i risultati generati da quest’evento possono essere notevolmente diversi. Anche l’assegnazione di obiettivi volutamente non ben definiti, può generare un processo naturale di competizione e consentire, a consuntivo, delle scelte in funzione dei risultati ottenuti che identificheranno in modo empirico il modello organizzativo vincente non in senso assoluto ma per quelle specifiche condizioni situazionali. Di fatto, la capacità d’autorganizzazione delle risorse umane, a livello di strutture o di processi di competenza, comporta modificazioni che possono fare alla fine la differenza. Un altro esempio riguarda l’introduzione delle tecnologie. Queste provocano la modificazione spontanea dei processi e quindi delle attività svolte dall’Organizzazione. In particolare alcune tecnologie che agevolano le comunicazioni (internet in tutte le sue forme) o il modo di cooperare fra individui (office automation, workflow management e groupware systems) costringono a mutare il modello organizzativo. Fungono quindi da elemento catalizzatore del cambiamento come in natura avviene per certi componenti chimici che possono creare una reazione e quindi attivare un processo naturale di trasformazione. Questo può essere di aggregazione o di disaggregazione degli elementi componenti e porterà complessivamente il sistema ad un livello energetico ottimale (livello entropico minimo) o se vogliamo fare un paragone con i termini utilizzati correntemente in ambito organizzativo ad un rapporto ottimale fra efficacia ed efficienza. Naturalmente ciò avviene
se si controlla costantemente il processo di evoluzione dell’Organizzazione e
quindi il cambiamento in modo da poter adottare i necessari feedback nel momento
stesso in cui la mutazione tendesse a divenire degenerativa (vedi fig. 8).
Il cambiamento infatti può
portare a tre stati del modello organizzativo:
Il meccanismo che consente di rilevare le informazioni, controllarle e di stabilire se attivare una azione di feedback negativo o positivo si chiama retroazione. Il feedback è una azione correttiva che va a sommarsi o a sottrarsi all’effetto di sollecitazione sul sistema che provoca l’input. Nel caso si sottragga, questo tende a diminuire gli effetti che si ottengono in output a fronte di un determinato input, nel caso si sommi ad amplificarli. La prima è un’azione stabilizzatrice, la seconda è amplificatrice e quindi tende a provocare un effetto di destabilizzazione sullo stato di equilibrio raggiunto in un determinato momento dal sistema. Questo secondo aspetto è molto importante nella teoria della complessità e dell’evoluzione in genere perché può portare ad un nuovo stato del sistema e quindi parleremo d’evoluzione dello stesso oppure può portare al collasso del sistema in componenti non più utili allo stesso ma riutilizzabili all’interno d’altri sistemi. La guerra del golfo del 1991 si è comportata, per il sistema geopolitico mondiale, come un feedback negativo, infatti, non ha modificato gli equilibri ma è stata un mezzo per mantenerli. La seconda guerra del golfo (marzo 2003) si è posta l’obiettivo di creare un nuovo ordine geopolitico nel medio oriente e quindi si è comportata come un feedback positivo (guerra preventiva = stato di allerta permanente) perché ha distrutto il modello in essere per crearne uno nuovo. Nel primo caso l’ordine di non continuare la guerra è stato la decisione che ha determinato, come retroazione, un feedback negativo. Nel secondo caso la strategia di far crescere la tensione, fino a portare la situazione ad un punto di non ritorno, è stata la decisione che ha determinato come retroazione un feedback positivo atto a destituire il regime. Nel primo caso, i rischi dell’operazione erano notevolmente più limitati (ripristino della legalità) rispetto a quelli che potrebbero essere corsi dall’occidente, a fronte di una destabilizzazione della regione e di un allargamento del confronto ad uno scontro fra civiltà. Tale esempio prescinde da qualsiasi considerazione etica, morale o politica e si riferisce solo al meccanismo così come appare per la teoria della complessità. In genere il cambiamento avviene tramite una serie di piccole mutazioni di cui quasi non ci accorgiamo se non in un determinato momento che nella teoria della complessità viene identificato come biforcazione catastrofica. Per fare un esempio (fig. 9) un cumulo di sabbia non collassa aggiungendo in cima i singoli granelli ma sarà un ultimo granello che ne provocherà il crollo quando le condizioni sono mature.
Quando questo avviene può essere necessario ricostruire il cumulo e ciò va fatto attraverso operazioni radicali di ricostruzione dello stesso. Nella teoria della complessità, la situazione in cui si viene a trovare un organismo complesso nel momento in cui percepisce che sta avvenendo un evento traumatico e quindi prossimo alla biforcazione catastrofica si chiama emergenza. La capacità di prevedere il verificarsi degli eventi che avverranno nell’ambiente è chiamata previsione, questa caratteristica è propria di tutti gli organismi complessi di tipo adattivo dal batterio, alla cellula, al cervello, all’Organizzazione. Se l’Organizzazione è prossima quindi ad una biforcazione catastrofica è opportuno intervenire rapidamente e drasticamente con operazioni di riorganizzazione decise e radicali (Business Process Reengineering), se invece si è lontani dalla stessa e si può incidere sul processo di evoluzione attraverso piccole modificazioni del modello organizzativo si procede con interventi di modesta entità ma continuativi in modo da assicurare ugualmente il risultato (Business Process Improvement). Le Imprese, che collassano economicamente o finanziariamente, non si sono rese conto per tempo del problema, così come quelle che perdono ricavi perché non riescono a far fronte alla domanda poiché non si sono opportunamente preparate all’evento. Nel primo caso, il collasso può portare ad un crollo e quindi alla morte dell’Impresa; le risorse umane, viste com’elementi specializzati del sistema dovranno riciclarsi e potranno trovare sistemazione in altre Imprese che le utilizzeranno in funzione dei loro scopi Per tali motivi l’Organizzazione ha bisogno di strutture per gestire e controllare i processi e per prevenire le situazioni precedentemente esposte. L’uso delle strutture organizzative per gestire la complessità è sempre esistito ed esisterà sempre e non è sostituibile anche negli approcci più moderni che considerano i processi alla base del reengineering delle organizzazioni (Business Process Reengineering) in quanto il processo di autorganizzazione per gerarchie esiste in natura. La necessità dei processi di essere governati deve invece trovare un naturale riscontro nei Centri di Responsabilità che devono consentire di individuare rapidamente i punti di governo in modo da poter controllare e gestire più agevolmente le attività specie se queste sono complesse (autorganizzazione). Le strutture hanno anche un’altra funzione fondamentale nelle Organizzazioni che riguarda la motivazione delle risorse umane. E’ noto che molte strutture sono create per soddisfare le esigenze degli uomini. Ciò può non essere errato se attraverso la struttura si ottiene un equilibrio ottimale fra governo dei processi e motivazione degli individui. |
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