VIAGGIO NEL DNA DELLE ORGANIZZAZIONI La teoria dei sistemi complessi adattivi(r)
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John H. Holland ha dedicato buona parte dei suoi studi a cercare di spiegare i comportamenti di quelli che ha definito: Organismi complessi adattivi. Le caratteristiche di tali sistemi possono essere riassunte dalle seguenti proprietà:
Tutti gli studi di Holland sono stati influenzati Hebb e dalla sua teoria sul comportamento delle sinapsi del cervello come base del processo d’apprendimento e della memoria. In particolare l’ipotesi che la relazione fra due neuroni (sinapsi) si rafforza o si indebolisce con un processo di retroazione positiva o negativa è stata vista da Holland come uno dei comportamenti fondamentali generali dei sistemi complessi. Hebb identificò inoltre nell’insieme di neuroni collegati attraverso sinapsi forti (relazioni) identificativo di un certo concetto, sensazione, immagine, dei raggruppamenti assimilabili ai “quanti” del pensiero. Holland voleva capire come si formasse l’ordine (i quanti) dal caos (i neuroni senza relazioni) e quali fossero i meccanismi alla base di tale processo organizzativo. Ma soprattutto voleva comprendere se questo fosse un processo universale e quindi applicabile a qualsiasi contesto, biologico, organizzativo, economico, sociale. Holland concepì che gli elementi di base degli organismi complessi adattivi si aggregassero per rappresentare configurazioni possibili, verificassero nel mondo reale la loro validità e memorizzassero tale fatto rafforzando le relazioni fra le suddette entità (peso della relazione) così come avviene per le sinapsi del cervello. Questo sicuramente è un procedimento empirico di progettazione, test, controllo e retroazione a ciclo continuo. Secondo Holland, il procedere per tentativi ed errori (radiazione) dell’evoluzione non mira solo a trovare elementi che siano in grado di costruire un buon organismo complesso adattivo, ma tanti buoni organismi complessi adattivi. Aveva bisogno di trovare conferme a tale ipotesi, in un modello che funzionasse e che quindi fosse una prova tangibile della correttezza scientifica delle sue idee. Progettò e realizzò quindi quello che chiamò algoritmo genetico, ossia un programma informatico in grado di raggiungere il risultato finale in modo diverso rispetto ai meccanismi tradizionali di esecuzione sequenziale delle istruzioni tramite evoluzione, una specie di genoma informatico composto di cromosomi sintetici fatti di cifre binarie. Far evolvere il codice binario avrebbe significato produrre un nuovo genoma e quindi un nuovo organismo complesso adattivo. Eseguito il programma, il sistema forniva un risultato, che era il meglio che potesse essere ottenuto con i cromosomi sintetici di partenza, a questo punto veniva assegnato un punteggio e veniva rieseseguita l’elaborazione che modificava il genoma informatico fino a produrre un nuovo risultato. Tale ciclo veniva reiterato fino a che il sistema non convergeva verso la soluzione. Il punteggio rappresentava la capacità dell’organismo sintetico adattivo di adattarsi all’ambiente e quindi la sua probabilità di successo riproduttivo. L’algoritmo imitava, con grande approssimazione, i meccanismi della genetica, simulando i risultati che si ottengono, a livello di DNA, da un accoppiamento fra sessi (crossing over). In pratica, date due stringhe alfanumeriche rappresentative, rispettivamente, di un cromosoma maschio ed uno femmina, l’algoritmo genetico spezzava il primo in due e sostituiva il 50% dei caratteri del primo con il 50% del secondo, procedendo in modo similare per il secondo, generando due figli con cromosomi completamente diversi da quelli dei genitori. I quattro organismi entravano quindi in competizione fra loro in un nuovo ciclo generazionale. L’algoritmo, inoltre, simulava, in una bassa percentuale di casi, errori di trascrizione e copiatura (radiazione), in modo da avvicinarsi a quanto avviene nella realtà per il meccanismo di riproduzione del DNA. Riproduzione e crossing over fornivano il meccanismo per l’emergenza e la coevoluzione degli elementi atti a costruire i geni. Attraverso l’algoritmo genetico Holland riuscì a dimostrare quello che chiamò il teorema degli schemi: in presenza di riproduzione, crossing over,e mutazio, qualsiasi gruppo compatto di geni, che mostri una capacità di adattamento superiore alla media, crescerà nel contesto ove opera in modo esponenziale. L’algoritmo genetico tuttavia presentava dei limiti, non era un agente adattivo, né un modello dell’adattamento della mente umana. Non poteva spiegare, infatti, come i concetti complessi crescono si evolvono e si espandono. Per Holland l’adattamento della mente e quello degli organismi in natura avevano una stessa radice logica, un identico meccanismo di funzionamento di base. Questo meccanismo è legato a due processi base: previsione e retroazione. La prima consente di cogliere delle opportunità e di evitare dei rischi, la seconda consente di agire in funzione di quanto previsto. Tutti i sistemi complessi secondo Holland costruiscono modelli che permettono loro di prevedere il funzionamento del mondo che li circonda. Anche i batteri hanno tale proprietà, infatti, speciali sistemi d’enzimi li orientano verso le concentrazioni di glucosio e quindi aumentano le loro capacità di sopravvivenza. I modelli che l’organismo progetta e poi allerta per l’attivazione, in funzione degli eventi che si presentano, non sono affatto consci, secondo holland, ma nascono da un processo spontaneo. In un’Organizzazione spesso si reagisce a fronte di un evento attraverso le procedure operative, che sono attivate automaticamente con le stesse regole di un riflesso condizionato. I singoli il più delle volte non hanno visibilità sull’intero processo, svolgono un insieme d’attività componenti lo stesso ed operano quindi avendo coscienza della parte e non del tutto. Ciò nonostante l’Organizzazione, nel suo complesso, si comporta come se capisse l’intero modello. Nell’ambito cognitivo, tutto ciò si traduce in un modello implicito, in un grande insieme interconnesso di procedure operative standard, memorizzate nel sistema nervoso, rinforzate da anni di pratica. Lo stesso DNA si comporta come un modello implicito, i geni, infatti, sono responsabili di assicure le migliori probabilità di successo, nell’ambito di quella configurazione genetica, per l’organismo complesso adattivo. Modelli e previsioni sono presenti, sempre secondo Holland, dappertutto. Ma quindi, se i modelli sono impliciti e non progettati a priori da un’entità esterna al contesto, qual è il processo che li genera e li perfeziona? La risposta che dà Holland a tale quesito è: la retroazione con l’ambiente in coerenza con quanto aveva teorizzato Darwin: un agente può migliorare i propri modelli interni senza alcuna guida esterna. Per fare ciò basta sperimentare il corretto funzionamento dei modelli nel mondo reale e, se si sopravvive all’esperienza, correggerli in modo che in futuro questi funzionino meglio e quindi garantiscano un maggiore adattamento, una superiore probabilità di successo e quindi di sopravvivenza; anche in questo caso, Holland voleva provare la teoria attraverso un sistema informatico, intendeva sviluppare un programma per simulare il comportamento degli agenti adattivi. Per fare questo integrò tre tecniche: o quella dei sistemi esperti che gli consentiva di definire delle regole a priori tali da attivare dinamicamente l’agente per eventi o quella dei sistemi neurali per far apprendere l’agente in funzione dei risultati prodotti e di valutazioni espresse dall’ambiente sugli stessi o quella degli algoritmi genetici per simulare i processi evolutivi dell’agente. Sicuramente un punto nodale era quello dell’ordine naturale che si crea per raggruppamenti e relazioni fra raggruppamenti. Holland pensò di simulare al computer i raggruppamenti di Hebb attraverso la regola se-allora dei sistemi esperti. Ma come simulare il comportamento del cervello che ad un concetto ne associa immediatamente n o quello dei geni dove l’attivazione di uno di questi ne attiva a catena altri? Quando noi pensiamo al cavallo, non associamo, come un dizionario, solo la sua definizione, ma anche tutti i concetti correlati quali la velocità, il contatto con la natura, le sensazioni di un galoppo o di un trotto. Holland aveva bisogno di un semplice meccanismo di comunicazione fra tutti gli elementi componenti l’agente adattivo ed ideò una sorta di bacheca virtuale facilmente consultabile. Nel momento stesso in cui un elemento riconosce la regola se-allora, si attiva e comunica agli altri che è in tale stato attraverso la bacheca. Gli altri elementi, interessati a quel determinato messaggio si attivano, effettuano l’azione di loro competenza (job) ed infine affiggono un messaggio contenente i risultati prodotti dalle loro azioni. Holland divise gli agenti in rivelatori, che tengono sotto costante controllo l’ambiente, aggiornando la bacheca ad ogni evento che li interessa, ed effettori che permettono al sistema di agire sul mondo circostante. Holland, tenendo conto della precedente esperienza effettuata con gli algoritmi genetici basati sulla evoluzione dei messaggi in binario, ipotizzò che la condizione se-allora potesse essere codificata nel seguente modo: se in bacheca è presente un messaggio 1###0#00, allora affiggi il messaggio 01110101. Questi definì le sue regole codificate secondo tale sintassi “classificatori”. Nei suoi sistemi classificatori il significato di un messaggio doveva emergere dalla maniera in cui induceva un classificatore ad attivarne un altro. Concetti e modelli dovevano quindi emergere come gruppi di classificatori in grado di sostenersi organizzarsi e riorganizzarsi in modo analogo agli insiemi autocatalitici di Kauffman. I classificatori non sono normali istruzioni del computer ma rappresentano messaggi che contengono ipotesi e congetture per rispondere adeguatamente ad i messaggi attivanti e quindi, nel complesso, all’evento origine. All’aumentare del numero delle regole, e quindi dei classificatori, aumenterebbe la possibilità che i classificatori entrassero in conflitto (disaccordo). Nell’informatica tradizionale tale situazione è risolta attraverso delle regole di livello più alto che intervengono per risolvere la situazione di stallo. Holland non accettava un tale tipo di metodo poiché doveva arrivare ad una soluzione che rendesse l’agente adattivo autosufficiente in tal senso. Voleva che il controllo e la soluzione venissero dal basso e non perché qualche misteriosa entità esterna era intervenuta. Nel caso in cui due classificatori fossero in disaccordo dovrebbero risolvere da soli la situazione di stallo sulla base delle loro prestazioni e del loro provato contributo al compito affrontato dall’agente adattivo. Una tale situazione porterebbe all’innesco di un sistema composto d’elementi che molte volte possono entrare in competizione fra loro. Holland era convinto che nel mondo reale la competizione incentivasse la cooperazione. Le aggregazioni erano quindi giustificate dalla necessità di sopravvivere non solo alle mutazioni dell’ambiente ma anche alla competizione interna. Tale comportamento è, sempre secondo il ricercatore, alla base del comportamento di qualsiasi sistema complesso adattivo. Per simulare tale comportamento Holland introdusse un meccanismo d’asta competitiva a fronte dei messaggi esposti in bacheca. Ogni volta quindi che in bacheca appare un messaggio, i classificatori rispondono formulando l’equivalente di un’offerta ed entrano in competizione tramite asta. Il sistema raccoglie le varie offerte ed aggiudica l’attività ad un insieme di classificatori giudicati come quelli aventi la maggior probabilità di successo. Tramite questo meccanismo simile a quello che avviene nella realtà, Holland eliminava l’ipotesi di ingiustificati interventi esogeni atti a risolvere i conflitti. Supponiamo di essere all’interno di una Società di consulenza e che il commerciale debba rispondere ad una gara. Saranno candidate alla stesura del progetto una serie di risorse ma, alla fine, saranno scelte quelle ritenute le più qualificate e quindi tali da poter assicurare le più alte probabilità di successo all’Azienda. Il funzionamento del sistema sembrava corretto a Holland ma, mentre erano chiari i criteri d’assegnazione non erano ancora ben definiti quelli in base ai quali i classificatori avrebbero acquisito meriti e quindi punteggi. Holland simulò un meccanismo di rinforzo Hebbiano, ovvero un sistema meritocratico dove ogni volta che l’agente adattivo fa qualcosa di giusto ottiene una retroazione positiva dall’ambiente e la ripartisce sui classificatori che hanno contribuito al successo rinforzando le relazioni che li legano. Allo stesso modo, ogni volta l’agente adattivo ottiene una retroazione negativa dall’ambiente, la ripartisce sui classificatori indebolendo le relazioni che li legano. Tale sistema premiante non doveva premiare solo i classificatori finali, che hanno fatto conseguire il risultato, ma tutti i classificatori che hanno contribuito al successo.
Ciò significava, per il sistema, memorizzare l’intera filiera e quindi le sequenze d’attività svolte e tutte le relazioni intercorse fra i classificatori interessati dal momento in cui il primo evento esterno è apparso in bacheca al momento in cui è apparso il risultato, con esito, dell’azione compiuta dall’agente adattivo nell’ambiente. Oggi possiamo affermare che ciò potrebbe essere ottenuto memorizzando la configurazione organizzativa (modello), in termini di struttura e di processi, che ha consentito di raggiungere l’obiettivo e premiarla o penalizzarla in funzione del livello di successo o insuccesso raggiunto. Com’è possibile constatare ciò che ha simulato Holland trova costantemente riscontro nel mondo dell’organizzazione (fig 11). Rappresentando i messaggi come beni e servizi in vendita, i classificatori possono essere considerati come le Aziende produttrici degli stessi. Quando un classificatore vede un messaggio “se” e fa un’offerta può essere paragonato ad una Impresa che cerca di acquistare le materie prime ed i contratti di subfornitura necessari per soddisfare la richiesta di mercato. Per rendere simile l’analogia Holland stabilì che quando un insieme di classificatori vincevano il diritto di affiggere i propri messaggi il classificatore che ha indetto l’asta doveva trasferire a questi, e quindi ai suoi subfornitori, parte della sua forza. Naturalmente il classificatore che ha indetto l’asta, con tale meccanismo, si va indebolendo nel corso del processo ma ha la possibilità di recuperare la sua forza e di incrementarla quando il suo messaggio perviene al mercato. La ricchezza quindi proviene dal mercato e quindi dal consumatore finale. Nonostante il brillante risultato conseguito Holland non era soddisfatto, gli mancava un tassello fondamentale per completare il suo sistema di simulazione degli agenti adattivi: la capacità del sistema di mutare tramite i meccanismi di riproduzione o attraverso errori casuali di trascrizione dei classificatori. Essendo i classificatori espressi in binario e quindi compatibili con le logiche dell’algoritmo genetico da progettato da Holland, questi decise di applicare al sistema un algoritmo genetico evoluzione di quello a suo tempo implementato. In pratica l’algoritmo variava i classificatori accoppiandoli e quindi generandone di nuovi da questi derivati o cambiando randomicamente alcuni bit componenti il singolo classificatore. Era come se si variassero i geni componenti il cromosoma digitale del classificatore secondo le regole che avvengono in natura. In questo modo Holland riuscì a creare un agente adattivo che non solo imparava dall’esperienza ma sapeva anche essere spontaneo e creativo. |
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