VIAGGIO NEL DNA DELLE ORGANIZZAZIONI Il margine del caos(r)
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Se quindi il margine del caos è il luogo dove nasce la vita, l’intelligenza, le capacità di computazione, qualsiasi forma di organizzazione e quindi la complessità evidentemente in tale situazione si sviluppano gli organismi complessi; evidentemente tale zona deve presentare periodi di stabilità tali da consentire lo sviluppo e l’evoluzione degli stessi. I sistemi complessi tendono quindi naturalmente verso tale zona attraverso i meccanismi, a cui abbiamo già accennato, d’apprendimento e d’evoluzione. Mentre tale affermazione, confermata da una serie di sperimentazioni, appare corretta, è lecito chiedersi cosa facciano i sistemi complessi adattivi una volta raggiunta tale zona logica. In questa zona la competizione e la selezione naturale porta i sistemi complessi ad evolversi in sistemi a complessità sempre crescente e quindi i già citati meccanismi di apprendimento ed evoluzione spingono l’organismo complesso adattivo verso strutture sempre più articolate (fig. 13a).
Secondo Doyne Farmer dovrebbe esistere un principio di base per la teoria della complessità analogo al secondo della termodinamica. Il secondo principio della termodinamica afferma che in una trasformazione da una forma di energia ad un’altra si dissipa altra energia che non può essere riutilizzata per il processo di trasformazione e porta quindi verso una concezione dove questo processo è non solo inevitabile ma irreversibile. Né questo né il primo principio della termodinamica inerente la conservazione dell’energia possono spiegare i comportamenti degli organismi complessi adattivi, che tendono naturalmente verso il margine del caos. Dove si collocano i meccanismi altrettanto naturali, di emergenza e d’autorganizzazione? Perché la materia diventa sempre più organizzata su grande scala ma al tempo stesso sempre più disorganizzata su piccola scala? A tutto questo Farmer, Kauffman, Langton ed Holland volevano dare una spiegazione. Fu Kauffman, utilizzando anche i risultati prodotti dai suoi colleghi, ad accorgersi che i sistemi viventi non sono radicati profondamente nel regime ordinato, ma sono molto vicini al margine del caos dove i fenomeni sono più fluidi e più sciolti. La selezione naturale non è l’antagonista dell’autorganizzazione, ma piuttosto si comporta come una forza che spinge di continuo i sistemi emergenti verso il margine del caos. Kauffman insieme a Sonke johnsen simularono la veridicità di tale ipotesi attraverso una rete neurale associata ad un algoritmo genetico. Per altre strade il ricercatore Per Bak arrivò a dei risultati similari. Mentre stava studiando un fenomeno della materia condensata, noto come onde di densità di carica, scoprì quello che chiamò criticità autorganizzata. Questa consiste nella capacità di un sistema complesso d’autorganizzarsi, di fronte ad una situazione di costante sollecitazione che tende ad allontanarlo dalla zona definita margine del caos, per riavvicinarsi a questa attraverso un processo di riorganizzazione interna. La metafora del cumulo di sabbia, trattata in precedenza, descrive chiaramente tale concetto. Un cumulo di sabbia, sollecitato da una caduta costante di granelli di sabbia continua a crescere ed a rimanere in equilibrio fintanto ché questo non viene compromesso. Una volta raggiunta tale soglia si autorganizza fino a raggiungere un nuovo equilibrio ai margini del caos. Bak si accorse che la legge con cui avviene tale processo segue una progressione esponenziale. Tale fenomeno è riscontrabile anche in altri casi quali la situazione d’equilibrio di un reattore a fissione nucleare, quella in cui si trova la terra rispetto ai terremoti o agli uragani, quella della borsa rispetto alle fluttuazioni cui è soggetta. Secondo Kauffman, Langton, Holland e Farmer la teoria della criticità organizzata era un altro tassello che si aggiungeva al puzzle della complessità. I concetti di base della criticità autorganizzata erano troppo vicini alle transizioni di stato di Langton per non esservi delle affinità. La cosa sconcertante era legata al fatto che le deduzioni di Langton erano di per sé legate alla vita, l’intelligenza, la capacità computazionale, quelle di Bak non sembrava avessero niente a che fare con tali concetti. Nei sistemi di Langton gli stati di transizione erano legati ad un lento processo evolutivo, in quelli di Bak, questi muovevano spontaneamente verso lo stato critico. E’ ipotizzabile che un sistema composto di organismi complessi sia di per sé, per proprietà transitiva, un organismo complesso e quindi in quanto tale assoggettato alle stesse regole degli suoi componenti complessi. Per cui un ecosistema si comporta, nelle sue regole di base, come le imprese, queste come gli uomini, questi, a loro volta, come le cellule. Negli ecosistemi reali, l’adattamento non è imposto dall’esterno ma deriva dalle logiche naturali della coevoluzione dove ogni individuo cerca di adattarsi a tutti gli altri. Anche in questo caso Kauffman realizzò, insieme con Sonke Johnsen un’altra simulazione al computer. Il sistema produsse gli stessi tre regimi rilevati da Langton: un regime ordinato, uno caotico ed una transizione di fase simile a quella definita margine del caos. Il sistema non riusciva ancora a dimostrare come gli ecosistemi si autorganizzano e si evolvono fino a raggiungere il margine del caos. Cosa poteva essere detto dei mutamenti del genoma d’ogni specie, ovvero lo schema (pattern) dell’organizzazione interna che ci mostra in quale modo un gene interagisce con un altro? Secondo Kauffman è possibile immaginare una metadinamica evoluzionistica, un processo che sintonizzi l’organizzazione interna di ogni agente in maniera che vengano a trovarsi tutti al margine del caos. Per dimostrare ciò, Kauffman e Johnsen diedero ai propri agenti adattivi la capacità di modificare la loro organizzazione interna. Questa era rigida nel momento stesso in cui ferree regole costringevano gli individui ad operare secondo gli schemi precostituiti, diventava più flessibile quando si concedeva maggiore autonomia e libertà agli stessi. Era caotica nel momento stesso in cui il sistema di regole non era chiaro o presentava un alto livello di ambiguità per cui ogni individuo operava liberamente ma non necessariamente in modo coordinato con gli altri. E’ quindi
proprio al confine fra ordine e disordine, al margine del caos per l’appunto,
che maturava il cambiamento e quindi l’adattamento. Il sistema non riusciva a spiegare perché gli organismi tendano a divenire sempre più complessi ed articolati dopo l’inizio della vita. La ricerca di Kauffman era arrivata ad un punto fermo. Walter Fontana formulò alcune ipotesi che Kauffman ritenne estremamente interessanti. Queste derivavano dal fatto che tutte le osservazioni fatte sull’universo, dai quark per arrivare alle galassie, avevano trovato il generarsi dei fenomeni complessi solo a livello molecolare. Egli spiegò tale fenomeno col fatto che solo la chimica consente di generare la vita attraverso delle reazioni complesse. Secondo Fontana, a differenza di quello che avviene per i quark ed i quasar, le molecole consentono possibilità di combinazioni illimitate e la chimica consente di manipolare le strutture per comporne di nuove. Per Fontana il concetto di chimica va oltre quello tradizionale e può essere applicato ad una grande varietà di sistemi complessi. L’economia (beni e servizi che si combinano per generare nuovi beni e servizi), la tecnologia (tecnologie si appoggiano ad altre tecnologie per produrne di nuove), la mente (idee combinandosi con altre idee generano nuove idee) ne rappresentano solo alcuni esempi. Fontana diede vita a quella che chiamò “Alchimia” o meglio chimica algoritmica. Secondo questi emergenza ed autorganizzazione sono dei meccanismi che sono alla base di tutto e quindi anche dei processi puri, intesi come sequenza di istruzioni eseguibili e quindi assimilabili ai programmi software. Per Fontana, popolazioni di processi puri, ovvero programmi formati da stringhe e simboli, calati in un ambiente comune possono svilupparsi attraverso i meccanismi d’evoluzione e coevoluzione creando strutture con livello di complessità crescente, allo stesso modo di quanto avviene per i sistemi autocatalitici di Kauffman, e sono sufficienti a permettere l’emergenza spontanea di strutture vitali. Alla base di quest’idea era presente la concezione di von Newmann, per cui, in un programma software, un gruppo di istruzioni ha due nature, la prima di comandi eseguibili da un computer, la seconda di dati che memorizzati possono essere trattati dallo stesso. Ciò dà la possibilità ad un programma di leggere le istruzioni e copiarle per metterle a disposizione d’altri programmi e, nel contempo, d’eseguirle proprio come avviene nel mondo biologico dove le cellule copiano il DNA, si riproducono e nel contempo vivono la loro esistenza specializzandosi in un particolare tessuto. Kauffman, in conformità a tale teoria, sviluppò un’evoluzione del suo sistema di simulazione degli insiemi autocatalici. Continuò ad usare stringhe binarie per rappresentare le molecole del sistema ma, non le considerò come dei programmi, ma come semplici stringhe componenti un linguaggio. Definì la sua “alchimia”, ovvero la chimica del suo modello, come un insieme di regole in grado di specificare come certe stringhe possono trasformarsi in altre, la grammatica di un linguaggio che può evolversi fino a creare strutture sempre più complesse ed articolate o derivarne altri. La grammatica dà le regole di composizione delle stringhe e quindi pilota il processo. Ipotizzò di avere un insieme di stringhe di base e che queste potessero comporsi per creare le strutture tipo che, a loro volta, potranno reiterare il processo all’infinito. Con la simulazione, Kauffman dimostrò che la crescita della complessità riguarda sistemi lontani dallo stato d’equilibrio che costruiscono sé stessi, salendo a livello d’organizzazione sempre più alti. Pervenuti a tali livelli, questi sistemi possono interagire con gli altri. Tale processo s’innesca quando si è raggiunta un’alta concentrazione d’oggetti disponibile e quindi un’alta probabilità di composizione della struttura di livello superiore. Quando si è accumulata una varietà sufficiente d’oggetti al livello superiore, avviene una sorta di transizione di fase autocatalitica e si ottiene una notevole proliferazione d’oggetti a quel livello. La cosa che ci
colpisce di più su tale teoria è l’ipotesi che alla base di tutto vi sia un
linguaggio, con la sua grammatica, con le sue regole, che si evolve e che dà
vita ad espressioni diverse dello stesso o ad altri linguaggi. Secondo tale logica, potremmo anche azzardare l’ipotesi che noi stessi, la società, l’economia e le Organizzazioni, potrebbero essere la naturale espressione di tale linguaggio e che l’alchimia della complessità è una grammatica universale con il suo lessico, la sua sintassi, la sua semantica. |
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