VIAGGIO NEL DNA DELLE ORGANIZZAZIONI Le teorie evolutive(r)
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Evoluzione significa modificazione, mutazione. L’Evoluzione è un processo continuo che non procede sempre in una direzione chiara e ben definibile. La comprensione delle teorie evolutive richiede di considerare le ipotesi ideologiche poste a loro fondamento. Alcune teorie definiscono l’evoluzione un processo governato dal caso mentre altre ritengono che questo si evolva naturalmente verso delle direzioni ben definite. Alcune teorie utilizzano come metafora prevalente quella dell’evoluzione in ambito biologico, estendendone sia le logiche sia gli strumenti all’analisi dell’organizzazione. In particolare l’analogia biologica è relativa a due aspetti: la differenziazione organica e la selezione naturale (Collins, 1988). La differenziazione
organica si riferisce all’embriologia come modello e rappresenta la Società
come un organismo che si sviluppa e si diversifica in termini d’organi
e di funzioni specializzate. Il cambiamento è quindi visto come un
incremento della divisione del lavoro e una conseguente integrazione delle
diverse componenti. La selezione naturale si riferisce alla teoria evoluzionistica di Darwin e quindi al fatto che le Organizzazioni mutino o soccombano proprio per tale meccanismo. Le teorie degli stadi identificano nei processi di evoluzione il susseguirsi di situazioni vissute da un sistema ed in particolare da un’organizzazione. Le caratteristiche delle
teorie degli stadi possono essere meglio comprese se si anlalizzano: q le similarità degli stadi q il numero degli stadi q i processi di passaggio tra stadi q
la presenza di stadi alternativi. In ambito organizzativo ha
riscosso un notevole successo la teoria dell’”evoluzione e rivoluzione”
di Greiner (1972) secondo il quale la presenza di un processo di cambiamento
dell’Organizzazione è trainato da periodi di evoluzione e di rivoluzione. La prima è caratterizzata da
lunghi periodi di crescita, durante la quale le regole dell’organizzazione non
subiscono sovvertimenti, la seconda da periodi caratterizzati da grosse
mutazioni e trasformazioni. Per Greiner (1972) le organizzazioni devono passare attraverso una successione di stadi che dipendono dall’età e dalle dimensioni, ma non dalla progressiva specializzazione delle proprie attività.
Il processo di evoluzione,
secondo Greiner, è rappresentato concettualmente da 5 fasi (fig A6): Ø
Fase 1
Ø
Fase 2 a.
Sviluppo per autorità — l’identificazione di un
responsabile d’Impresa porta ad un nuovo periodo di crescita sostenuta dalla
sua capacità di leadership b.
Crisi d’autonomia — la crescita dimensionale
dell’organizzazione richiede un maggiore investimento nelle persone,
l’accentramento decisionale non riesce più a governare le scelte di tutta
l’Impresa Ø
fase 3 a. sviluppo per delega — la soluzione dei problemi viene identificata in un maggior ricorso alla delega verso i quadri intermedi che danno una rinnovata spinta all’evoluzione dell’organizzazione b. crisi di controllo — la delega corre il rischio di frammentare l’Impresa con spinte centrifughe da parte delle divisioni e sensazione di perdita di controllo da parte dell’alta direzione Ø
Fase 4 a.
Sviluppo per coordinamento — l’investimento in una
maggiore formalizzazione dei meccanismi di coordinamento serve a identificare
nuove regole di gestione dell’impresa, recuperando le spinte alla
frammentazione b.
Crisi di burocrazia — l’investimento in formalizzazione si
traduce progressivamente in un eccessivo fardello di procedure che impediscono
l’innovazione e vincolano l’azione manageriale Ø
Fase 5 a.
Sviluppo per collaborazione — l’uscita dalla crisi passa
per l’investimento nello sviluppo di meccanismi di collaborazione e di fiducia
interni all’Impresa tramite la diffusa responsabilizzazione individuale dei
managers b.
Crisi di saturazione psicologica — a questo punto emerge il
peso dello stress che l’organizzazione riversa sugli individui, producendo una
crisi di capacità psicologiche di tenuta del ruolo. Le teorie della differenziazione organica. q differenziazione e specializzazione — il sistema sviluppa unità specializzate che assolvono specifici compiti q miglioramento delle performance funzionali — la divisione del lavoro conduce ad un miglioramento delle performance delle diverse unità funzionali e, nel contempo, migliora quelle del sistema nel suo complesso q necessità di integrazione — la differenziazione in unità specializzate richiede sforzi per mantenerle coese (integrazione) ed un sistema di controllo del suo funzionamento q
viscosità e ritardi— la transizione da uno stato del
sistema ad un altro richiede processi di adattamento e di apprendimento
tutt’altro che semplici, le tensioni nascono soprattutto dalle differenze di
velocità di transizione da uno stato all’altro delle singole unità. Scott fornisce un valido contributo nel correlare gli stati evolutivi delle variabili organizzative a quelli delle variabili strategiche. Un livello di strategia semplice richiede un utilizzo di un basso numero di variabili organizzative, un livello di strategia complesso richiede un utilizzo di un alto numero di variabili organizzative, comprese quelle che devono essere spese per i processi di pianificazione e controllo. Nella teoria evolutiva esistono due concetti cardine quello d’inerzia e quello di nicchia. L’inerzia rappresenta la naturale resistenza di un’Organizzazione di fronte alla necessità di cambiare. Questa è provocata non solo dal naturale bisogno di stabilità degli uomini, ma anche dalle istituzionalizzazioni, che sono state create all’interno della struttura organizzativa per dare autorità alle comunicazioni e quindi alle regole che sono state stabilite per mantenere certi equilibri. Tali istituzionalizzazioni rappresentano un bene fondamentale dell’Organizzazione che va tutelato in quanto consente a questa di sopravvivere e di operare in termini di trasparenza, d’efficacia e d’efficienza. Nel momento stesso in cui bisogna progettare o attuare il cambiamento, molti dei paradigmi saltano ed occorre superare l’inerzia. Per tale motivo sono meglio accolti piccoli cambiamenti progressivi piuttosto che mutazioni raticali che possono anche provocare la fine dell’Organizzazione. In sostanza è diverso per un’Organizzazione modificare la sua struttura organizzativa interna, passando, ad esempio, da un assetto funzionale ad uno divisionale, oppure accedere ad accordi con altre imprese che garantiscano l’accesso preferenziale alle risorse o ad un mercato. Il primo cambiamento può comportare conseguenze interne molto intense, il secondo non altera sostanzialmente le modalità d’organizzazione del lavoro.
Si deve a Gause il principio d’esclusione della competitività. Secondo tale principio due specie che occupano la stessa nicchia non possono coesistere in equilibrio. La selezione delle popolazioni organizzative fa parte di quella che è definita ecologia delle popolazioni organizzative, scuola di pensiero che nell’ambito della teoria evolutiva va attribuita ad Arthur Stinchcombe (1965). Questi ha il merito di aver identificato un nuovo livello d’analisi per le teorie organizzative, quello della popolazione di forme organizzative. Stinchcombe afferma che analizzando appunto la popolazione di forme organizzative e le sue dinamiche nel tempo ci si accorge che questa è sottoposta a dei cicli non continui. Tale ciclo riguarda la progressiva creazione ed estinzione d’organizzazioni e di forme d’istituzioni che non assumono carattere di continuità ma consentono di identificare dei momenti di repentino mutamento delle caratteristiche delle forme organizzative. L’innovazione organizzativa non è quindi continua ma avviene quando le condizioni sociali la rendono possibile, in particolare questa dipende dalla “tecnologia sociale disponibile”, ovvero dall’insieme di relazioni sociali disponibili al momento della creazione della nuova organizzazione. Secondo Stinchcombe l’Organizzazione è un set di relazioni sociali stabili creato deliberatamente con l’esplicita intenzione di realizzare durevolmente dei fini o degli obiettivi specifici. Hannan e Freeman (1977, 1989) definiscono l’organizzazione come un un set di relazioni sociali stabili creato deliberatamente con l’esplicita intenzione di realizzare durevolmente dei fini, sottoposto ad una selezione di tipo darwiniano che stabilisce la sostituzione o l’alternanza delle forme organizzative. I due autori concentrano i loro studi sulla sostituzione d’organizzazioni obsolete con forme nuove, identificando le cause di tale fenomeno nel mutamento delle condizioni ambientali e dei rapporti di concorrenza. Concepiscono quindi il processo evolutivo secondo logiche simili a quelle del pensiero maltusiano-darwiniano, attribuendo quindi la varietà attuale di forme organizzative agli effetti cumulativi di una lunga storia di variazione e di selezione includendo le conseguenze dei processi di nascita, morte ed incorporazione (fusione). Le ipotesi cui pervengono i due ricercatori
sono:
Ma se si tiene conto delle rigide leggi di Darwin in merito alla selezione naturale, questo apparirebbe come un processo troppo lento rispetto all’evoluzione reale delle forme organizzative. Lamark ritiene che sia possibile che il processo evolutivo tenga conto non solo dei geni ma anche dei comportamenti acquisiti. In questo caso l’acquisizione d’abilità comportamentali in una generazione consente a quella successiva di approfittare di queste conoscenze e favorisce l’evoluzione di forme sempre più differenziate. Aldrich (1979) approfondisce l’analisi dei processi che sottostanno alla generazione delle condizioni che attivano un meccanismo di selezione naturale. Secondo Aldrich si deve alla relazione che intercorre tra ambiente ed Organizzazione la ragione dell’evoluzione di quest’ultima. L’operare dei meccanismi
di selezione naturale può essere rappresentato da quattro, distinti, ma
interrelati processi evolutivi:
Baum e Singh (1994) individuano due tipologie d’approccio nell’ambito delle teorie evolutive.
La prima, denominata ecologia organizzativa, analizza i processi d’interazione fra sistemi organizzativi in termini di scambio e di trasformazione di risorse, la seconda, denominata organizational sistematic, approfondisce i processi di conservazione e trasferimento di capacità e conoscenze di natura produttiva ed organizzativa. Queste si basano su due gerarchie di oggetti che sono state rappresentate e paragonate da Baum e Sing (vedi fig. A7). La teoria evolutiva del cambiamento economico. Anche in questo caso c’è un rimando esplicito alle teorie di Malthus e Darwin. Nella teoria evolutiva del cambiamento economico la molla del cambiamento è attivata dai meccanismi di naturale selezione economica. L’ambiente definito dal mercato definisce quindi il successo delle imprese in termini analoghi a quanto avviene in natura, ovvero in ragione delle capacità di crescita e sopravvivenza. Il cuore della teoria è basato sul concetto di routine. Questo è il termine che identifica tutti i patterns (schemi) comportamentali regolari e predicabili di un’Organizzazione. La routine è interpretata in analogia con i geni della biologia, ovvero una caratteristica persistente che definisce il comportamento possibile dell’organizzazione (quello effettivo dipende dall’interazione con l’ambiente), ereditabile (nel senso che gli organismi generati hanno molte delle caratteristiche di quelli che li hanno generati) e selezionabile, poiché gli organismi che possiedono certe routines possono produrre risultati migliori degli altri e quindi essere positivamente selezionati. Nelson e Winter riconoscono,
all’interno dell’organizzazione, una gerarchia di routines articolata su tre
livelli (partendo dal basso): a) con caratteristiche operative — rappresentano le regole che indirizzano il comportamento di breve periodo, ovvero ciò che l’impresa fa correntemente b) che determinano le scelte di modificazione delle risorse o degli investimenti — e quindi agiscono direttamente sulla crescita dell’impresa e risentono dei meccanismi di selezione naturale c) che determinano la modificazione delle routines di tipo a)e b) — sulla base di processri di ricerca analoghi a quelli di mutazione che avvengono nell’ambito della biologia. La teoria è completata dalla presenza dei processi. Questi possono essere di: controllo, replica, contrazione, imitazione delle routines presenti all’interno dell’impresa. I processi di controllo operano sulle routines di selezione degli imput, su quelle di modifica degli stessi, in fase monitoraggio del funzionamento delle routines ed in fase di modifica delle stesse. Se l’Organizzazione non riesce a modificare le proprie routines entra in una fase di contrazione che conduce alla scelta di continuare ad operare allo stesso modo ma su scala ridotta. |
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